A differenza del curatore di quel blog condivido in pieno la tesi sostenuta da Francesco M. di Bologna e credo meriti un'attenta lettura .
La generazione Tuareg: senza bussola, nel
deserto, ma con la casa di famiglia!
Siamo in una fase socio-economica straordinariamente complessa e contrassegnata dalla crisi, è ben noto a tutti. Il mercato è in contrazione e la finanza pubblica è disastrata. La disoccupazione generale cresce ed è oggi al 12,7%. Anche la disoccupazione giovanile cresce e oggi è del 41,6%.
Le tasse imperversano: IMU, TASI e TARI sono ormai famose. L’instabilità politica è stabile. La pace economica goduta dalla “generazione fortunata” è decisamente finita. Si tratta dei nati tra il 1935 e il 1955, i quali hanno complessivamente goduto, per pura fortuna, di condizioni ambientali favorevolissime: boom economico, quasi tutto da inventare, posti di lavoro fisso in abbondanza, rifugio statale aperto a tutti, possibilità di far carriera con competenze basiche, pensione garantita. Con un po’ di disciplina e di buon senso, il gioco era (quasi sempre) fatto. In molti casi era sufficiente non litigare col capo ufficio.
In quell’epoca dell’occupazione stabile era l’impresa a programmare e tutelare il percorso lavorativo dell’individuo, il quale doveva solo preoccuparsi di stare in carreggiata.
Attualmente sono i singoli a doversi assumere la responsabilità e i rischi del proprio sviluppo professionale. Le variabili in campo e gli equilibri da preservare sono tantissimi, e molte volte fuori dal controllo della persona.
Ci si può trovare “punto e a capo” da un momento all’altro: basta una riorganizzazione, una crisi aziendale, una delocalizzazione produttiva, una fusione, una riforma, una maternità nel momento sbagliato, un acciacco psico-fisico, la perdita di un grosso cliente, un malinteso col titolare, un progetto andato storto, una nuova legge.
Negli anni ottanta e novanta chi avesse mai manifestato invidia per il passato sarebbe stato prontamente catalogato come un grigio retrogrado, non capace di stare al passo coi tempi.
Erano gli anni in cui, complice l’ideologia neoliberista, si cominciava a inneggiare alla competizione, alla velocità, alla modernizzazione, alla flessibilità. I giovani, specie quelli nati circa fra il 1964 e il 1978 vennero spronati a non fare “gli impiegati a vita” come i loro “poveri “ genitori e nonni.
Fu così che questi nuovi eroi, sotto gli occhi lucidi di mamma e babbo, crebbero come piccoli Superman, scaldarono i muscoli per una grande partenza per poi, al momento del tuffo nel lavoro, trovarsi di fronte piscine vuote od oceani in tempesta.
Nati e cresciuti nella bambagia, lanciati e atterrati sulla carta vetrata. Qualcuno ce l’ha fatta, qualcuno si è schiantato, molti navigano alla deriva, quasi tutti sono frustrati e sperano di vincere alla lotteria per, finalmente, mettersi tranquilli e… fare tanti viaggi.
Solo quindici-venti anni fa parlare di posto fisso era cosa da sfigati. Oggi, nel mare del lavoro flessibile (nome benevolo del precariato) è il sogno di tantissime persone, anche di giovani ad alta scolarizzazione.
Sono questi i non-privilegi che il destino ha riservato alla cosiddetta “generazione Tuareg”:
ultratrentenni e ultraquarantenni costretti a vagare nel deserto senza le bussole morali e materiali delle generazioni precedenti, senza manco la pensione.
L’accesso al lavoro per i più giovani è complicatissimo, raggiungere un rapporto stabile con l’organizzazione di appartenenza è spesso un calvario, l’idea di eguagliare e superare lo status economico e sociale dei propri padri è da abbandonare.
Gli over 45 hanno il terrore di essere estromessi dall’azienda, sapendo che “se esci non entri più”, se non a costo di pesanti demansionamenti. Ne sanno qualcosa tanti dirigenti.
La ripresa economica esiste solo nei vaniloqui di qualche politico ignorante o mistificatore.
Gli istituti di credito hanno smesso di concedere il credito.
Certo non ci aiuta lo Stato, attraverso i geniali governanti: dalle ciminiere dei suoi “stabilimenti” escono cortine fumogene dense di chiacchiere, false promesse, contraddizioni, manifestazioni di
incompetenza, giochi di potere, patti, rimpasti, convenienze personali, volgarità. In questa fumana almeno tre cose sono nitide e stabili: gli sprechi e furti spaventosi, le retribuzioni stratosferiche della classe dirigente, il fisco triturante.
L’amica Europa ci bacchetta di continuo, lo spread è la religione di riferimento.
Sanità, scuola e università sono il regno dei tagli lineari di spesa. Tuttavia, purtuttavia… non accade niente. Almeno niente di manifesto e sostanziale.
Stiamo, quasi tutti, zitti e fermi. Polemiche da bar a parte. Movimento dei forconi a parte; nato e morto dentro lo stesso mese.
Sembriamo in preda a un fenomeno di sedazione socio-economica. A eccezione dei tanti imprenditori suicidi, ai quali penso con rispetto e dolore. Che si tratti di vocazione al martirio? Di riflessione ermeneutica? Di incredibile inconsapevolezza? Di menefreghismo?
E pensare che negli anni di piombo, la lotta armata è comparsa per molto meno. Lotta armata?Scendere in piazza? Protestare collettivamente? Ma no! Non si fa così! Non serve
-Poi perché, prima o poi, le cose cambieranno in meglio: qualche politico bravo comunque c’è. Non si sa esattamente chi sia, ma ci deve pur essere. Insomma, non bisogna essere distruttivi! Pensare positivo è fondamentale, si sa.
-Terzo motivo: la ripresa economica è a portata di mano, come sostiene il nostro illustre Presidente del Consiglio. Pertanto, perché mai agitarsi?
-Terzo motivo: la ripresa economica è a portata di mano, come sostiene il nostro illustre Presidente del Consiglio. Pertanto, perché mai agitarsi?
-Quarto: il Capo dello Stato, imparziale, lungimirante e patriottico come non mai, veglia su di noi; rimarrà in sella non un minuto di più e non uno di meno del necessario. Ce lo ha ricordato nel discorso di fine anno. Quindi, tutto OK, state sereni.
-Quinto: l’italiano medio quando ha la casa, la TV e l’automobile è tutto sommato felice e manco si sogna di andare a fare a botte in piazza; e neanche di manifestare pacificamente. Specie d’inverno: c’è freddo e viene male alle ossa.
Vi interessa il sesto motivo della sedazione socio-economica? Secondo me il principale e sostanziale. Per identificarlo basta rendersi conto che le suddette risorse dell’italiano medio, le fonti principali della sua felicità, hanno specifiche caratteristiche, così diffuse da passare inosservate.
La casa è ereditata o ricevuta in regalo dalla famiglia d’origine; nella peggiore delle ipotesi è “finanziata”. Le modalità di finanziamento sono due: il famigliare di turno anticipa tutta la spesa (centinaia di migliaia di Euro) e il figliolo/nipotino gliela renderà secondo la formula “un po’ alla volta, senza fretta e senza interessi”. Spesso, verso la fine, il finanziatore si commuove e non si fa completamente restituire la cifra intera. La seconda modalità è questa: il finanziatore famigliare paga una quota parte della spesa in modo tale che il figliolo/nipotino possa accendere un mutuo breve e leggero, “facendo finta” di pagare un affitto per qualche anno.
La TV e l’automobile sono comprate a rate (o anche queste, specie l’auto, omaggiate dai famigliari).
Eccolo il fattore chiave di sedazione socio-economica: è l’ammortizzatore famigliare. Altro che cassa integrazione ordinaria e straordinaria.
-Quinto: l’italiano medio quando ha la casa, la TV e l’automobile è tutto sommato felice e manco si sogna di andare a fare a botte in piazza; e neanche di manifestare pacificamente. Specie d’inverno: c’è freddo e viene male alle ossa.
Vi interessa il sesto motivo della sedazione socio-economica? Secondo me il principale e sostanziale. Per identificarlo basta rendersi conto che le suddette risorse dell’italiano medio, le fonti principali della sua felicità, hanno specifiche caratteristiche, così diffuse da passare inosservate.
La casa è ereditata o ricevuta in regalo dalla famiglia d’origine; nella peggiore delle ipotesi è “finanziata”. Le modalità di finanziamento sono due: il famigliare di turno anticipa tutta la spesa (centinaia di migliaia di Euro) e il figliolo/nipotino gliela renderà secondo la formula “un po’ alla volta, senza fretta e senza interessi”. Spesso, verso la fine, il finanziatore si commuove e non si fa completamente restituire la cifra intera. La seconda modalità è questa: il finanziatore famigliare paga una quota parte della spesa in modo tale che il figliolo/nipotino possa accendere un mutuo breve e leggero, “facendo finta” di pagare un affitto per qualche anno.
La TV e l’automobile sono comprate a rate (o anche queste, specie l’auto, omaggiate dai famigliari).
Eccolo il fattore chiave di sedazione socio-economica: è l’ammortizzatore famigliare. Altro che cassa integrazione ordinaria e straordinaria.
La realtà, secondo me, è che senza tale ammortizzatore, tanti giovani (e meno giovani) spensierati, dediti all’aperitivo, ben vestiti, assidui turisti internazionali, quasi sempre con un po’ di pancetta (quindi ottimamente nutriti) e abbronzati, sarebbero in condizioni… penose. Alcuni letteralmente in mezzo alla strada.
Sono tantissimi quelli che fanno finta di essere economicamente autonomi e vivono complessivamente sereni o addirittura “da signori”.
Come ci riescono? Con la tremenda crisi che ci attanaglia da oltre un quadriennio, con il precariato diffuso, con le retribuzioni mediamente assai basse che conosciamo tutti, con le banche a gambe strette, con il mercato immobiliare che persevera nel chiederci cifre folli per metro quadro, con il costo crescente di autostrade e utenze, con la benzina e il gasolio che prezzano come non mai, con le mille tasse che i governanti ci mettono in spalla di anno in anno? Ma come fanno? Che domanda ingenua.
Ci riescono giustappunto occupando una casa di famiglia (ereditata o acquistata dalla famiglia di origine), godendo di residenze di famiglia fuori città (casine o casone al mare, in montagna, in campagna) e ricevendo sostanziosi aiuti economico – organizzativi da genitori, nonni e altri parenti stretti: prestiti, donazioni, regaloni in denaro per le feste comandate, bonifici bancari d’emergenza in caso di bisogni particolari, affitti di appartamenti sempre di famiglia, studi professionali avviati, eredità in valori mobiliari, mamme previdenti che periodicamente riempiono frigoriferi e armadi
senza mai chiedere un soldo indietro.
In queste condizioni, con questo paracadute, basta che tu svolga un “lavoretto qualsiasi”, anche precario, ed eccoti trasformato in un tranquillo benestante che cambia tablet, smartphone e automobile a ogni cambio di stagione e si permette quattro settimane bianche all’anno.
Si tratta di aiuti senza i quali le stesse persone, a parità di impegno, talento e competenza (virtù non poi così diffuse), in certi casi non potrebbero sopravvivere, in altri sì, ma a prezzo di grossi sacrifici, menando tenori di vita infinitamente più modesti e, di certo, con divoranti preoccupazioni quotidiane.
Sono tantissimi quelli che fanno finta di essere economicamente autonomi e vivono complessivamente sereni o addirittura “da signori”.
Come ci riescono? Con la tremenda crisi che ci attanaglia da oltre un quadriennio, con il precariato diffuso, con le retribuzioni mediamente assai basse che conosciamo tutti, con le banche a gambe strette, con il mercato immobiliare che persevera nel chiederci cifre folli per metro quadro, con il costo crescente di autostrade e utenze, con la benzina e il gasolio che prezzano come non mai, con le mille tasse che i governanti ci mettono in spalla di anno in anno? Ma come fanno? Che domanda ingenua.
Ci riescono giustappunto occupando una casa di famiglia (ereditata o acquistata dalla famiglia di origine), godendo di residenze di famiglia fuori città (casine o casone al mare, in montagna, in campagna) e ricevendo sostanziosi aiuti economico – organizzativi da genitori, nonni e altri parenti stretti: prestiti, donazioni, regaloni in denaro per le feste comandate, bonifici bancari d’emergenza in caso di bisogni particolari, affitti di appartamenti sempre di famiglia, studi professionali avviati, eredità in valori mobiliari, mamme previdenti che periodicamente riempiono frigoriferi e armadi
senza mai chiedere un soldo indietro.
In queste condizioni, con questo paracadute, basta che tu svolga un “lavoretto qualsiasi”, anche precario, ed eccoti trasformato in un tranquillo benestante che cambia tablet, smartphone e automobile a ogni cambio di stagione e si permette quattro settimane bianche all’anno.
Si tratta di aiuti senza i quali le stesse persone, a parità di impegno, talento e competenza (virtù non poi così diffuse), in certi casi non potrebbero sopravvivere, in altri sì, ma a prezzo di grossi sacrifici, menando tenori di vita infinitamente più modesti e, di certo, con divoranti preoccupazioni quotidiane.
Beninteso: non c’è nulla di male nel farsi aiutare dalle finanze famigliari. E non è certo una colpa nascere in una famiglia ben dotata. Ma neanche è un merito. È una vantaggiosa situazione nella quale ci si viene a trovare. Una sorta di speciale premio del destino per i capaci, un vero e proprio salvavita per gli inetti.
Oggi come oggi, di puri self made man/women, davvero economicamente autonomi e stabili, che viaggiano sulle loro esclusive gambe, ce ne sono veramente pochi, anche fra soggetti di 40-50 e più anni.
L’aiuto della famiglia d’origine è talmente cruciale che, fra i vari deliri psicologici contemporanei raccontati dalla stampa, da tempo compare quello del nascondere e conservare in cella frigorifera i genitori/nonni defunti allo scopo di continuare a godere della pensione dopo la loro morte.
Vorrei fare un esperimento socio-economico: staccare la spina delle sostanze famigliari agli attuali 30-50enni e vedere di cosa sono autonomamente capaci. Non per cattiveria, per “curiosità
scientifica”.
Temo che, oltre a sovraffollare definitivamente i locali della Caritas, il fare “a botte in strada” diventerebbe in breve tempo lo sport nazionale. Per almeno due motivi.
Per protestare realmente contro la vampiresca e indecente casta politico-finanziaria. Per difendersi dall’assalto di persone indigenti o di persone furiose perché obbligate a passare dall’abituale aperitivo serale al lavoro notturno come magazzinieri IKEA. Altrimenti non riescono a pagare l’affitto del loro piccolo appartamento di periferia, ahimè senza i doppi servizi, il salotto climatizzato, il parquet di legno dappertutto, gli infissi tutti nuovi, gli affacci su un bel cortile interno, la porta blindata, il terrazzone, il giardino e il garage. Tutte caratteristiche che, mannaggia la miseria, aveva la casa ereditata dalla nonna e ristrutturata dal babbo!
Persone furiose anche perché costrette a passare dal sistematico week end lungo a Milano Marittima (ovviamente nella casa di famiglia a suo tempo comprata dal nonno lungimirante investendo la liquidazione) alla gitarella di mezza giornata verso Pianoro per “vedere se c’è un po’ di fresco perché in città d’estate non si respira”.
Vorrei proprio farlo questo esperimento. Ci sarebbe da ridere, anzi da piangere. Meglio, per molti, per la maggioranza, che non mi sia possibile… Per la maggioranza? Sì, per la netta maggioranza.
Il paracadute del patrimonio famigliare non è di pochi eletti appartenenti a chissà quali strati sociali. È diffusissimo in tutt’Italia. È tutt’altro che un’eccezione.
Oggi come oggi, di puri self made man/women, davvero economicamente autonomi e stabili, che viaggiano sulle loro esclusive gambe, ce ne sono veramente pochi, anche fra soggetti di 40-50 e più anni.
L’aiuto della famiglia d’origine è talmente cruciale che, fra i vari deliri psicologici contemporanei raccontati dalla stampa, da tempo compare quello del nascondere e conservare in cella frigorifera i genitori/nonni defunti allo scopo di continuare a godere della pensione dopo la loro morte.
Vorrei fare un esperimento socio-economico: staccare la spina delle sostanze famigliari agli attuali 30-50enni e vedere di cosa sono autonomamente capaci. Non per cattiveria, per “curiosità
scientifica”.
Temo che, oltre a sovraffollare definitivamente i locali della Caritas, il fare “a botte in strada” diventerebbe in breve tempo lo sport nazionale. Per almeno due motivi.
Per protestare realmente contro la vampiresca e indecente casta politico-finanziaria. Per difendersi dall’assalto di persone indigenti o di persone furiose perché obbligate a passare dall’abituale aperitivo serale al lavoro notturno come magazzinieri IKEA. Altrimenti non riescono a pagare l’affitto del loro piccolo appartamento di periferia, ahimè senza i doppi servizi, il salotto climatizzato, il parquet di legno dappertutto, gli infissi tutti nuovi, gli affacci su un bel cortile interno, la porta blindata, il terrazzone, il giardino e il garage. Tutte caratteristiche che, mannaggia la miseria, aveva la casa ereditata dalla nonna e ristrutturata dal babbo!
Persone furiose anche perché costrette a passare dal sistematico week end lungo a Milano Marittima (ovviamente nella casa di famiglia a suo tempo comprata dal nonno lungimirante investendo la liquidazione) alla gitarella di mezza giornata verso Pianoro per “vedere se c’è un po’ di fresco perché in città d’estate non si respira”.
Vorrei proprio farlo questo esperimento. Ci sarebbe da ridere, anzi da piangere. Meglio, per molti, per la maggioranza, che non mi sia possibile… Per la maggioranza? Sì, per la netta maggioranza.
Il paracadute del patrimonio famigliare non è di pochi eletti appartenenti a chissà quali strati sociali. È diffusissimo in tutt’Italia. È tutt’altro che un’eccezione.
Guardatevi intorno, fate e fatevi qualche domanda e non potrete non rendervene conto. Come minimo, ma proprio come minimo, spunta almeno una cara zia che “… ci aiuta a pagare il
mutuo, altrimenti questa casa non ce la saremmo mai potuta permettere. E pensare che lavoriamo in due”.
Concludo rispondendo a un quesito che immagino sia sorto nel lettore.
E io? Cioè l’autore di questo (antipatico) articolo. Chi sono e cosa faccio per sputare queste sentenze?
Sono un uomo qualunque, come tanti altri, che a differenza di molti altri non ha avuto (né in prospettiva avrà) la fortuna di poter godere del sedativo socio-economico legato alle sostanze di famiglia e che quindi si deve arrampicare con la sola forza delle proprie dita. Fino a oggi, meno male, con risultati che gli danno soddisfazione e orgoglio.
Lo avevamo capito, penserete.
Sei divorato dall’invidia. Sei incazzato perché devi sudartela e sai che, per quanto tu possa pedalare, mai arriverai al traguardo dei “dotati di famiglia” o ci arriverai 20 anni dopo, stanco marcio. Quindi sei (o ti senti) uno sfigato.
Questo è certo, “povero” me.
Ma è altrettanto certa la situazione che ho descritto in precedenza. Situazione, secondo il mio parere, alla quale si lega la passività sociale ed economica di tanta Italia e, paradossalmente, la capillare presenza di un benessere altrimenti impensabile in un paese che da anni soffre la crisi, un paese ansimante e instabile nel cui futuro intravedo più ombre che luci.
Mi sbaglio? Spero di sì e credo di no.
mutuo, altrimenti questa casa non ce la saremmo mai potuta permettere. E pensare che lavoriamo in due”.
Concludo rispondendo a un quesito che immagino sia sorto nel lettore.
E io? Cioè l’autore di questo (antipatico) articolo. Chi sono e cosa faccio per sputare queste sentenze?
Sono un uomo qualunque, come tanti altri, che a differenza di molti altri non ha avuto (né in prospettiva avrà) la fortuna di poter godere del sedativo socio-economico legato alle sostanze di famiglia e che quindi si deve arrampicare con la sola forza delle proprie dita. Fino a oggi, meno male, con risultati che gli danno soddisfazione e orgoglio.
Lo avevamo capito, penserete.
Sei divorato dall’invidia. Sei incazzato perché devi sudartela e sai che, per quanto tu possa pedalare, mai arriverai al traguardo dei “dotati di famiglia” o ci arriverai 20 anni dopo, stanco marcio. Quindi sei (o ti senti) uno sfigato.
Questo è certo, “povero” me.
Ma è altrettanto certa la situazione che ho descritto in precedenza. Situazione, secondo il mio parere, alla quale si lega la passività sociale ed economica di tanta Italia e, paradossalmente, la capillare presenza di un benessere altrimenti impensabile in un paese che da anni soffre la crisi, un paese ansimante e instabile nel cui futuro intravedo più ombre che luci.
Mi sbaglio? Spero di sì e credo di no.
Francesco M.Bologna, 16/01/2014
Vedo che, come sempre, le discussioni "filosofiche" non interessano a nessuno; io l'ho trovata molto esplicativa e l'ho linkata per cercare di diffonderla ulteriormente.
RispondiElimina